Questo articolo di settembre – guarda un po’! – è dedicato alla scuola. Lo scrivo un po’ da psicoterapeuta e un po’ da mamma perché in fondo il primo ingresso nel mondo della scuola non riguarda solo i bambini ma anche – e in alcuni casi soprattutto – i genitori. Mamme e papà che rientrano a scuola, che varcano di nuovo quella porta, che spesso significa entrare in una stanza intima, rimasta chiusa forse per molto tempo ma che, inondata da una luce nuova, illumina antiche emozioni. L’ingresso alla scuola dell’infanzia è dunque una tappa veramente importante, per tutta la famiglia: la letteratura scientifica lo definisce come un momento di transizione, durante il quale i bambini costruiscono rapidamente il loro atteggiamento generale nei confronti della scuola. Alcuni studi, infatti, sembrano mostrare come i sentimenti e i comportamenti sviluppati durante questo periodo tendano ad essere perpetuati e abbiano un impatto sul successivo adattamento al contesto. In alcune ricerche del 2014 e del 2016, si sottolinea l’importanza proprio dei primi giorni: i bambini che sono più entusiasti del momento di ingresso a scuola, hanno poi un approccio migliore all’apprendimento e all’adattamento alla classe durante i primi mesi dell’anno scolastico. Allo stesso modo, i bambini che mostrano emozioni positive durante l’autunno evidenziano migliori competenze e una migliore accettazione tra pari in primavera. Al contrario, le emozioni negative all’inizio dell’anno scolastico sono legate a competenze accademiche più povere e più conflitti con le insegnanti. Come ben sappiamo, però, non per tutti i bambini l’ingresso a scuola è un momento connotato soltanto o prevalentemente da emozioni positive: da alcune ricerche condotte da Pianta (un ricercatore che da decenni studia in particolare le relazioni tra pari e tra adulti e bambini nel contesto scolastico), emerge come questo momento sia una transizione entusiasmante e a lungo attesa per la maggior parte dei bambini, ma rimanga difficile per metà dei nuovi studenti. Inoltre, in uno studio recente in cui 1.386 bambini in età prescolare finlandesi sono stati intervistati direttamente dai loro genitori, la maggior parte di loro (72,7%) ha espresso alcune preoccupazioni sul momento dell’ingresso a scuola, legate principalmente all’avvio della scuola in generale, alla necessità di fare nuovi amici, e al dover apprendere nuove cose.
Spaventati?! Ma veniamo ai genitori.
Da alcuni studi sembra che la maggiore preoccupazione dei genitori riguardi le aspettative della scuola e, di conseguenza, la domanda cruciale è: “come posso preparare al meglio mio figlio a questa nuova fase della sua vita?”. Andando a guardare i numeri, uno studio di McIntyre ha mostrato che l’80% dei genitori vorrebbe avere una migliore comprensione delle aspettative della scuola e il 68% dei genitori apprezzerebbe che venisse detto loro come possono preparare il loro bambino a questa transizione. Un altro studio di Wildenger e McIntyre ha rilevato che metà dei genitori avrebbe voluto ricevere maggiori informazioni sulle aspettative accademiche dell’asilo. Potrei continuare citando molte altre ricerche, che concordano nel rilevare queste esigenze da parte della famiglia. Esigenze che sembrano essere più che sensate, viste le numerose ricerche che mostrano quanto i bambini i cui genitori hanno dimostrato un livello più alto di competenza nella gestione della transizione all’asilo hanno mostrato un migliore adattamento sociale quando hanno frequentato la scuola, mentre i figli di genitori preoccupati hanno mostrato un peggior adattamento accademico e sociale. Questi risultati sono peraltro coerenti con il modello ecologico e dinamico di transizione di Rimm-Kaufman e Pianta, che evidenzia il ruolo e la responsabilità degli ambienti del bambino nella transizione verso la scuola. Insomma, genitori che si sentono ben preparati e hanno un’idea abbastanza chiara di cosa si aspetta la scuola dai propri figli (e da loro!), potranno essere dei facilitatori in questo momento di transizione, permettere ai figli di essere supportati da emozioni positive, con le conseguenze – anch’esse positive – che abbiamo visto prima. Ma cosa significa essere più preparati? Uno studio di quest’anno condotto in Canada sembra mostrare come i genitori che hanno ricevuto più informazioni da parte della scuola dell’infanzia (in diverse forme: opuscoli, incontri, comunicazioni via mail…) si siano sentiti “più pronti” a questo momento e i loro figli si siano adattati meglio e più in fretta alla scuola.
Tutto chiaro, no?! Siate pronti, che i vostri figli saranno pronti! Ora, da mamma, ma anche un po’ da psicoterapeuta – sistemica – credo che ci sia molto altro. Innanzitutto perché la comunicazione è fatta sì di contenuti, ma anche di relazioni, poi perché ogni genitore si porta dietro la sua storia di alunno e infine perché, in fondo, ci si sente ancora un po’ alunni: forse implicitamente questa enfasi sull’importanza di essere genitori preparati mette nella posizione di aspettarsi anche una valutazione. Ci sarà qualcuno che giudicherà se sono preparato o no su quali sono i miei compiti e quelli di mio figlio! Un po’ di ansia è salita anche a me…Per questo credo che, al di là della preparazione più “formale”, sia importante per i genitori, ma anche per i bambini e le insegnanti, cercare di capire e dare un nome a quello che succede ogni giorno, condividere significati sia a livello cognitivo che emotivo. Non credo che il senso dell’essere pronti si riduca al livello “prestazionale”, essere pronti lo vedo più come un essere aperti ad accogliere ciò che succede e utilizzarlo per capire meglio il contesto e sentirsi parte di esso. È vero che la scuola dovrebbe accogliere le famiglie, ma vale anche l’inverso!
Laureata in Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Pavia, è Ricercatrice in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata presso la Scuola di Psicoterapia ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista di Milano – Centro Panta Rei, è iscritta all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 16147). È terapeuta EMDR.
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