Negli ultimi anni media e telegiornali mostrano con frequenza fatti di cronaca connessi alla violenza di partner o ex partner nei confronti delle rispettive mogli/compagne. L’omicidio rappresenta solo la fine di quello che è un vero e proprio pattern di violenza.
Oltre ad essere una violazione dei diritti fondamentali, comporta un grave onere per la salute pubblica: i numeri sono impressionanti.
Per dare un inquadramento, secondo quanto riportato nelle Linee Guida sviluppate dall’ A.N.C.I. (2014), i maltrattamenti rientrano tra il 22% e il 35% delle richieste di assistenza delle donne nei pronto soccorsi; dai dati Istat (2006), chi ha subito violenze dal proprio partner:
- nel 35,1% dei casi hanno sofferto di depressione a seguito dei fatti subiti
- manifestano perdita di fiducia e autostima (48,5%)
- hanno una sensazione di impotenza (44,5%)
- soffrono di disturbi del sonno (41,0%)
- soffrono di stati d’ansia (36,9%)
- hanno difficoltà di concentrazione (23,7%)
- soffrono di dolori ricorrenti in diverse parti del corpo (18,5%)
- hanno difficoltà a gestire i figli (14,2%)
- manifestano idee di suicidio e autolesionismo (12,1%)
Il disvelamento di una situazione di violenza è particolarmente difficile ed è ostacolato da numerose barriere. Secondo l’indagine Istat del 2006, il 75% delle donne picchiate, identificate per la prima volta in un contesto medico, andrà avanti nel sopportare abusi.
Sfatiamo dei miti pericolosi: gli uomini non sono tutti violenti, le donne non sono solo vittime. Fatta questa premessa, la violenza di genere è un problema degli uomini che la commettono ed è lì che bisognerebbe intervenire, ma, non potendolo fare in poche righe, diffondere strategie per distinguere una lite da un abuso è utile per fermare certi circoli. La percezione del rischio da parte della vittima e degli spettatori è infatti il fattore più efficace nel contrasto a questo fenomeno.
Una domanda che tutti gli esterni si pongono: “Ma perché è rimasta?”
La domanda nasconde, non troppo velatamente, la tendenza ad attribuire responsabilità alla vittima: è un pensiero che abbiamo o abbiamo avuto tutti noi, fa parte della nostra cultura. In fondo, il problema è stato riconosciuto solo di recente dalla coscienza pubblica: non più di 60 anni fa si parlava ancora di “divorzio all’italiana”, dando come accettabile che, per salvare l’onore, era ammissibile uccidere la propria partner.
Leslie Morgan, ex vittima di violenza da parte del partner, ha scritto un libro sull’argomento e spiega perfettamente il meccanismo che si crea in uno dei famosi Ted talks
(per il video completo: https://www.ted.com/talks/leslie_morgan_steiner_why_domestic_violence_victims_don_t_leave#t-47030).
Si inizia con la “luna di miele”, il periodo perfetto in cui la donna diventa l’unica persona che può salvare l’uomo ed è tutto per lui.
Si passa all’isolamento: spesso, come spiega Leslie, questo avviene in modo subdolo. L’isolamento copre svariate forme, da quella relazionale a quella economica (es. “le tue amiche non ti fanno bene, si comportano male” “La tua famiglia non ci capisce, meglio non sentirli più” “non ritengo giusto che lavori, posso badare io a te”). Seguono i vari “non sei abbastanza” “non servi a niente” “troppo grassa” “troppo magra” “troppo stupida”, troppo o troppo poco in ogni caso. Ora, il problema degli insulti non è tanto quanti gravi siano, ma quanto si finisce col crederci.
Il passo successivo è quello di insinuare la paura. Nella famiglia di Leslie, il compagno teneva una pistola sotto il cuscino e una nel cruscotto della macchina, all’inizio con la scusa della “protezione”. Solo infine, arrivano le minacce e la violenza fisica. Dopo i primi episodi di violenza, segue una fase di riparazione, in cui l’uomo fa di tutto per riconquistare la donna e si prostra ai suoi piedi promettendo di non agire mai più in quel modo. E si ricomincia da capo…
Non vi sentite in colpa né stupide se vi siete riconosciute: non si possono prevedere certe cose, ma si possono fermare. E se vi viene il dubbio, no, non è colpa vostra. Se siete in un questa situazione o conoscete qualcuno, potete chiedere aiuto ai servizi presenti nei vostri comuni (servizi sociali, forze dell’ordine, sportelli antiviolenza, ecc.).
Laureata in Psicologia Clinica e Neuropsicologia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata presso la Scuola di Psicoterapia ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista di Milano – Centro Panta Rei, è iscritta all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 15580). È terapeuta EMDR.
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