Questi tipi di comportamenti vengono messi in atto dalle persone con l’intento di danneggiare se stesse in vario modo, ma senza l’intento di morire.
I comportamenti autolesivi sono diventati un fenomeno sempre più frequente in questi ultimi anni che si è diffuso come una vera e propria epidemia nei paesi industriali avanzati. Le ricerche ci dicono che tale fenomeno si manifesta in un paziente psichiatrico adulto su cinque e arriva fino al 40-80% tra i pazienti psichiatrici adolescenti. Tra la popolazione non clinica, invece, le percentuali sono molto più basse, ma comunque allarmanti: dal 4% tra gli adulti fino al 15% tra gli adolescenti.
Inoltre, non sempre risulta facile distinguere tra condotte autolesionistiche patologiche da quelle culturalmente e socialmente riconosciute e accettate: tatuaggi, piercing, incisioni sulla pelle, impianti sottocutanei, branding (scritture sulla pelle con ferri arroventati) o cutting (tagli deliberatamente autoinflitti): sono tutte pratiche sempre più in voga non solo tra persone che soffrono di un disagio psichico conclamato, ma anche, e soprattutto, tra gli adolescenti.
È possibile distinguere due tipi di condotte autolesive:
- Condotte compulsive: strapparsi i capelli (tricotillomania); mangiarsi le unghie fino alla carne viva; scorticarsi la pelle.
- Condotte impulsive (episodiche o ripetitive): tagliare, incidere e briciare la pelle; conficcarsi aghi; rompersi le ossa; interferire con la guarigione delle ferite.
Le motivazioni che portano le persone a ferirsi volontariamente sono molteplici:
- Concretizzare e regolare le emozioni negative: l’autoferimento diventa un modo di trasformare uno stato psichico (es. emozioni) in sensazioni più “concrete” di tipo fisico (es. dolore) e così controllare, attraverso il corpo, sentimenti intollerabili e angoscianti (es. senso di vuoto, disperazione, ecc.). Il dolore legato alle ferite diventa inoltre un’esperienza viva e stimolante che riporta la persona a sentirsi dentro il suo corpo durante esperienze di tipo dissociativo e nel corso di sensazioni di perdita di contatto con il mondo circostante.
- Punire/estirpare/purificare: il ferirsi viene utilizzato per punirsi ed estirpare la propria cattiveria e, così facendo, purificarsi da pensieri, emozioni e ricordi considerati peccaminosi dalla persona.
- Comunicare senza parole: il gesto autolesivo funge da linguaggio per trasmettere comunicazioni di disagio e richieste di cura che altrimenti la persona non riuscirebbe ad esprimere a parole.
- Ricordare: l’episodio della ferita diventa un mezzo per fissare un proprio ricordo incidendo sulla propria pelle simboli che rimandano a momenti, vicende ed emozioni della propria vita.
- Sentirsi meno impotenti: l’autoferimento funziona come strumento per sentirsi gli autori della propria sofferenza e così trasformare in “attive” quelle esperienze che la persona vive invece come subite passivamente (es. abusi, trascuratezza, violenza fisica, ecc.).
Per approfondire:
- American Psychiatric Association (APA) (2013). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
- Hooley, J. M., et al. (2017). Psicopatologia e psicologia clinica. Pearson.
Laureato in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e Professore a Contratto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzato presso la Scuola di Psicoterapia ad orientamento Cognitivo-Costruttivista Relazionale – Centro di Terapia Cognitiva di Como, è iscritto all’Albo degli Psicologi della Lombardia (n. 16842).
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