Il bullismo viene solitamente definito come un tipo di comportamento aggressivo che comporta ripetuti attacchi fisici e/o verbali verso un individuo. Numerosi studi hanno dimostrato l’importanza del contesto relazionale all’interno del quale si verifica il bullismo: tra l’85 e l’88% del bullismo avviene a scuola in presenza dei compagni, che possono partecipare agli episodi di bullismo in una varietà di modi. Oltre al bullo e alla vittima, gli altri bambini presenti possono reagire alla situazione adottando atteggiamenti prosociali, ostili o evitanti. La letteratura scientifica ha pertanto da tempo cercato di individuare e descrivere i diversi ruoli che possono essere assunti dai bambini durante gli episodi di prepotenza. Alle molte ricerche internazionali, soprattutto di area Nord-europea e Americana, si affiancano quelle di studiosi italiani, come ad esempio Carmen Belacchi, che identifica ben otto distinti ruoli: Bullo (il leader dell’aggressione), Assistente (fornisce assistenza diretta all’aggressore), Sostenitore (supporta verbalmente il bullo), Difensore (difende attivamente il compagno vittimizzato), Consolatore (tenta di mitigare gli effetti negativi della prepotenza assistendo la vittima), Mediatore (agisce per riconciliare il bullo e la vittima), Vittima (chi subisce l’aggressione) e l’Esterno (chi cerca di rimanere distaccato).
Negli ultimi 30 anni, un crescente volume di ricerche ha esplorato la natura di questi ruoli dei partecipanti e dei loro correlati individuali e/o sociali nei bambini in età scolare. Recentemente, in un interessante articolo del 2017, alcuni ricercatori delle Università di Radboud (Paesi Bassi) e di Turku (Finlandia) hanno rilevato le traiettorie di sviluppo dei ruoli assunti dai ragazzi negli episodi di bullismo dai 9 ai 17 anni: i ragazzini più “visibili” e più popolari anni più frequentemente assumeranno il ruolo di bullo in adolescenza, mentre chi in pre-adolescenza ha molti amici e viene spesso scelto come compagno di gioco, più facilmente assumerà le vesti del difensore negli anni a seguire.
Ma non finisce qui! Il fenomeno del bullismo è stato individuato e studiato anche in età prescolare. Gli studi condotti anche con i bambini dai 3 ai 6 anni hanno riscontrato caratteristiche particolari dei bambini che tendenzialmente assumono un ruolo specifico negli episodi di prepotenza. Ad esempio, i bulli hanno in genere minori competenze socio-emotive, buone capacità di mettersi nei panni degli altri dal punto di vista cognitivo, ma scarsa vicinanza affettiva verso chi soffre; sono più rifiutati dai compagni e tendono a scegliere altri bambini aggressivi come loro amici. I bambini che più frequentemente assumono il ruolo di vittima vengono generalmente descritti come fisicamente deboli, ansiosi e sensibili, con scarsa autostima e meno amici rispetto ai loro coetanei. Sia i sostenitori del bullo che gli esterni sembrano avere scarse abilità sociali con bassi livelli di empatia e comprensione emotiva. I prescolari che intervengono per difendere le vittime del bullismo mostrano abilità cognitive, relazionali, emotive ed empatiche più avanzate e vengono scelti frequentemente come compagni di gioco. Anche i ruoli di consolatore e mediatore sono associati a buone capacità di comprensione delle emozioni: in particolare, i bambini che più frequentemente cercano di mediare tra bulli e vittime, sono anche quelli che mostrano di comprendere aspetti più complessi legati alle esperienze emotive in loro stessi e negli altri.
La ricerca, inoltre, evidenzia come essere vittima di bullismo a partire dall’età prescolare abbia degli effetti negativi a lungo termine come il rischio di sviluppare sintomi ansioso-depressivi, oltre che difficoltà scolastiche e disturbi della condotta.
Fortunatamente le ricerche hanno evidenziato come i ruoli siano ancora instabili in età prescolare. In altre parole è possibile che un bambino a questa età sperimenti diverse posizioni di fronte ad episodi di prepotenza: a volte può essere vittima, altre volte aggressore, altre ancora difensore o esterno. Solo con il tempo e le esperienze ripetute i comportamenti si stabilizzano ed i bambini tendono ad assumere certi ruoli e non altri.
Conoscere queste dinamiche può essere un buon punto di partenza per prestare attenzione alle interazioni tra pari fin dalla scuola dell’infanzia, individuando potenziali fattori di rischio e promuovendo interventi volti a favorire lo sviluppo di competenze socio-emotive e relazioni positive tra pari.
Per approfondire:
- Belacchi C., & Farina E. (2012). Feeling and Thinking of Others: Affective and Cognitive Empathy and Emotion Comprehension in Prosocial/Hostile Preschoolers. Aggressive Behavior, vol. 38, p. 150-165.
- Belacchi C., & Farina E. (2010). Prosocial/hostile roles and emotion comprehension in preschoolers. Aggressive Behavior, vol. 36, p. 371-389.
Laureata in Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Pavia, è Ricercatrice in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Specializzata presso la Scuola di Psicoterapia ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista di Milano – Centro Panta Rei, è iscritta all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 16147). È terapeuta EMDR.
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