Malta (7-8-9 febbraio 2018).
Atterro a Malta il 7 febbraio, con un piccolo bagaglio a mano e uno ben più grande mentale. In testa aspettative e domande che spero possano essere soddisfatte nel corso di questa conferenza.
Porto con me la voglia di confronto e la necessità di risolvere alcuni dubbi, e forse di crearne altri ancora più stimolanti. Domande maturate nel corso dell’attività professionale in particolare per ciò che concerne la diade, ma anche la sigletudine di chi in coppia non è più o non lo è mai stato.
Nell’attività in Studio non ricordo casi in cui almeno in parte non si sia trattato l’argomento coppia, in uno spettro di casistiche peraltro amplissimo.
Vi racconto così, in singoli articoli, ciò che ho ascoltato. Ad ognuno le proprie riflessioni, che sarei curiosa di sentire da chi avrà voglia, modo di leggere e tempo di scriverci. Al termine degli articoli condividerò i pensieri che questi giorni e l’incontro con colleghi e ricercatori così esperti hanno suscitato in me…
Arlene Vetere si presenta sul palco con un caschetto di capelli grigio cortissimo, fare risoluto in contrasto con un’andatura lievemente dinoccolata dettata dalla sua rilevante altezza. Occhi chiari, acuti e sorridenti dietro lenti tonde. Arlene è professoressa di Terapia Familiare e di Pratica Sistemica al VID Specializad University di Oslo, Norvegia, ma insegna anche in diversi altri Paesi: Malta, Gran Bretagna e Italia.
Porta con sé la sua attività clinica e di ricercatrice internazionale, che espone alla platea con quanto segue.
La coppia si è evoluta nel tempo sulla base delle influenze ed evoluzioni sociali ed oggi deve affrontare la notevole complessità derivata da molteplici forze che spingono in modo centrifugo verso l’individualità, verso l’esterno.
Inoltre la comunicazione è cambiata con i nuovi media, diventando spesso più fraintendibile, meno chiara, parziale. Vi sono sempre più stimoli esterni che invitano a vivere esperienze fuori dal contesto di coppia e intrudono nella diade in modo via via più frequente. Questi elementi generano stress all’unione. Le separazioni sono sempre più usuali e si passa dalla coppia alla genitorialità, su cui però è necessario lavorare perché sia funzionale alla famiglia.
Arlene lavora con l’idea che “insieme” si possa ridurre e ammorbidire le lotte che la coppia deve affrontare, spinta dalla domanda: “cosa possono fare queste persone per essersi di supporto e ridurre lo stress?”
L’indicazione clinica che fornisce è di supportarli integrando l’approccio sistemico con la teoria dell’attaccamento, la teoria narrativa e sul trauma, in modo da aiutare la coppia in crisi a capire cosa sta succedendo a loro dentro e di cosa hanno bisogno.
L’aspetto traumatico non è solo negli eventi gravi in sé, ma anche nella minaccia dell’abbandono, nella minaccia di perdita. Il vissuto di essere abbandonati e rigettati o anche solo l’idea che possa avvenire. È quindi importante capire queste emozioni e poterle esternare. La rabbia che spesso vediamo è un’emozione secondaria, dietro essa vi sono la vergogna, la paura e la tristezza. La rabbia è di protezione. Per questo motivo è importante lavorare e risolvere l’abbandono subito o minacciato perché altrimenti è difficile poter affrontare il futuro in modo costruttivo.
La riparazione di eventi dolorosi è possibile, ma richiede un tempo che non è standard. È soggettivo e va rispettato per ognuno come tale.
Così ci troviamo di fronte a reazioni rabbiose che possono avere diverse valenze. Da una parte possono essere quello che in Inghilterra definiscono rattle someone’s cage, “scuotere la gabbia di qualcuno”, quindi irritare, provocare chi ha determinato in sé i sentimenti abbandonici. Si deve tener conto che tale reazione ha questa base e viene attuata per essere visti, per dire “cosa devo fare per avere la tua attenzione?”. Dall’altra possiamo osservare reazioni repulsive da chi era stato rifiutato: “tanto non lo volevo”, “tanto non andava bene”.
Ambedue queste espressioni ci dicono che c’è ancora collegamento, che non si ha ancora superato ed elaborato l’evento abbandonico. Bisogna tenerne conto.
È bene lavorare sulla capacità di sviluppare quello che si definisce la “base sicura” anche nella coppia, che non significa essere accessibili e presenti tutto il tempo, ma è importante esserlo per l’altro il più delle volte perché si generi una sicurezza e stabilità.
Un ottimo esempio di attaccamento sicuro è contenuto in una dichiarazione di Obama, che parla di Michelle e del loro essere coppia. Sotto ve lo riporto:
“… what sustains our relationship is I’m extremely happy with her, and part of it has to do with the fact that she is at once completely familiar to me, so that I can be myself and she knows me very well and I trust her completely, but at the same time she is also a complete mystery to me in some ways. And there are times when we are lying in bed and I look over and sort of have a start. Because I realize here is this other person who is separate and different and has different memories and backgrounds and thoughts and feelings. It’s that tension between familiarity and mystery that makes for something strong, because, even as you build a life of trust and comfort and mutual support, you retain some sense of surprise or wonder about the other person”.
Si nota in esso la compresenza del conoscersi e meravigliarsi ancora dell’altro. Abbiamo bisogno di un po’ di predittibilità, ma anche di stupore, di rimanere colpiti da sfaccettature nuove o viste per la prima volta anche dopo lunghe relazioni, per avere un buon legame con il compagno o la compagna. Questo ci porta alla necessità di adattabilità nella relazione. La flessibilità permette alla coppia di adeguarsi alle diverse difficoltà sia di eventi normativi che di possibili imprevisti.
Gli strumenti utilizzati nel corso della terapia di coppia suggeriti da Vetere sono quindi spesso relativi all’attaccamento, come ad esempio Adult Attachement Interview, che permette di accedere alla memoria degli eventi che hanno formato i concetti di attaccamento poi interiorizzati e che vengono richiamati nelle relazioni che viviamo. Fondamentale è porre attenzione alla memoria che è semantica, episodica e integrativa (riflesso della metacognizione) e tenere conto che si potrebbe avere alcune di queste ed altre no. Ci si potrebbe ricordare perfettamente la voce della persona che non è più lì, ma non ricordare alcuni gesti o altre caratteristiche e questo ha un suo valore da esplorare.
Durante il percorso terapeutico può accadere che ci si sposti in quella che si definisce fall-back position, cioè una posizione mentale di ripiego, laddove non si abbiano le risorse per stare nei pensieri ed emozioni scatenati da determinati vissuti. Se si sente il livello di attivazione che sale si tende a spostarsi su di essa.
È importante sollecitare un’attenzione su cosa si sta sentendo. Permettere di farsi domande e attivare la riflessione sullo stato d’animo che ha portato all’attivazione (“cosa sto sentendo”, “perché lo sto sentendo”, “a cosa serve”, ecc.).
Si tenga presente che la fall-back position a volte è funzionale, è utile, perché permette di affrontare alcune situazioni. Ad esempio, durante una fase di un lutto appena avvenuto spesso le persone sono coinvolte in una serie di attività burocratiche e sociali che affrontano grazie anche a questa capacità di staccare momentaneamente da un dolore troppo profondo, che potrebbe impedire di affrontare qualsiasi attività.
È utile lavorare nella coppia attraverso l’approccio narrativo , suggerisce la Vetere. Si può utilizzare lo strumento della biografia fotografica, rivivendo momenti, memorie e consolidando così le connessioni positive nella rielaborazione della propria storia narrata e/o della storia della coppia. Si noteranno dei momenti in cui le persone si scaldano nel racconto, questi sono momenti in cui soffermarsi particolarmente.
Vi sono poi i rituali, non i piccoli rituali quotidiani, ma i grandi rituali che sanciscono dei passaggi. In questo senso nella terapia sistemica molti esempi si possono trarre dal Gruppo di Milano, ad esempio riti che permettono alla coppia di trattare tutto il sommerso per poi passare oltre, per costruire la relazione su basi diverse.
La Vetere offre così un assaggio della sua attività quotidiana di ricerca e cura e delle possibili fonti e metodi da utilizzare, per chi vuole approfondire. Rassicura sul fatto che al di là della complessità che il mondo moderno può portare anche nella vita delle coppie, vi sono possibili strumenti per diminuire il livello di stress e riportare l’attenzione alla vita emotiva propria e dell’altro in modo da raggiungere maggiore sicurezza, stabilità e capacità di adattamento, necessari per darsi supporto e valore all’altro.
Laureata in Psicologia Clinica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Specializzata presso la Scuola di Psicoterapia ad Orientamento Sistemico e Socio-Costruzionista di Milano – Centro Panta Rei, è iscritta all’Albo degli Psicoterapeuti della Lombardia (n. 13131). Abilitata alla valutazione peritale come Consulente Tecnico di Parte (CTP) e Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) presso lo Studio RiPsi, è terapeuta EMDR.
0 comments on “La relazione di coppia nel 21° secolo: contesti in evoluzione e nuovi significati emergenti”